Le partenze in salita (parte seconda)


Le partenze in salita, di cui parlavo nel post precedente, non sono altro che un'analogia con le difficoltà che si incontrano nella vita. Capita a tutti di trovare lungo il cammino imprevisti e ostacoli che ci costringono a prendere strade diverse da quelle fino allora ipotizzate. E' capitato anche a me: problemi famigliari, problemi di salute seri che hanno ostacolato il percorso che stavo vivendo. Sento di dover raccontare la mia esperienza, non tanto per suscitare compassione ma, per dare speranza a chiunque si sia trovato ad affrontare un attimo di debolezza.  Ho iniziato a lavorare a 16 anni nel negozio di famiglia perché ai tempi la voglia di studiare era al minimo e i miei genitori non hanno visto la necessità di incentivarmi a proseguire. Il lavoro c'era, era sicuro e remunerativo, non serviva io continuassi con la scuola. Mi sarebbe piaciuto diventare interprete, adoravo le lingue straniere, avrei voluto lavorare nel campo turistico, o seguire conferenze internazionali e diventare  traduttrice. Non mi è stato possibile scegliere; mia madre senza interpellarmi mi ha iscritto a un corso biennale per segretarie d'aziende e mi ha introdotto nel mondo lavorativo da subito. Il negozio nel tempo ho imparato ad adorarlo, ma all'inizio devo confessare, l'ho odiato: l'avevo subito come imposizione e a 16 anni invece si vorrebbe far la guerra al mondo.
Comunque essere commerciante, mantenere un buon rapporto con i clienti, scegliere e comprare i tanti articoli da proporre era una bella professione. Vendevamo biancheria per la casa, ricami fiorentini per intenderci, lingerie, pigiameria, maglieria; una lunga tradizione famigliare fatta di sacrifici e tantissimo lavoro, aveva portato all'apertura di un bel negozio e assicurato stabilità economica. Ne andavamo fieri e per quel che mi riguarda, la possibilità  di avere uno stipendio, che mi permetteva di far fronte ai miei desideri personali e di vivere tranquillamente l'età più bella, in tutta spensieratezza, rispondeva in maniera perfetta al bisogno di autonomia che sempre mi ha accompagnata. Poi come per tanti è arrivata la crisi, alla quale si sono aggiunte problematiche famigliari che mi hanno costretta a chiudere l'attività. Penso sia stato l'errore più grosso che abbia mai commesso. Il fatto di dipendere da un marito, che badate, mai mi ha fatto mancare o pesare niente, mi ha destabilizzata. Il sentirmi inutile, il constatare di non riuscire a bastare a me stessa ha sgretolato via via le poche sicurezze che avevo. Trovare lavoro dopo aver superato i quarant'anni , senza titoli di studio, come immaginerete, risultò essere un'impresa impossibile. Cosa fare?                                    Mi sono distratta con le  mie passioni:  infilavo perline, progettavo collane e bijoux, facevo sciarpe e mantelle che rivendevo nei mercatini degli hobbisti. Ho ricordi di domeniche freddissime precedenti il Natale, passate a vendere piccola chincaglieria in compagnia di un mondo fino allora, a me sconosciuto. Declassamento sociale? Forse l'ho vissuto così, ma mi sono anche divertita, l'importante era riuscire a fare qualcosa. Che importava se invece di fare un passo in avanti, facevo un passo indietro? Purtroppo mi è stato tolto anche questo piacere. Ho avuto problemi al cuore, subito un intervento  rischioso a cui è seguita una lunga riabilitazione. Era impensabile riprendere quel tipo di attività: non potevo più prendere freddo, mi stancavo con niente. Più della sofferenza fisica, ho sofferto per la depressione che inevitabile è seguita. La paura di non aver più tutto il tempo a mia disposizione e la perenne sensazione di essere un peso e di non contribuire all'andamento famigliare è stata la peggior salita da affrontare.
 Ho dovuto trovare un'occupazione che tenesse a bada i "pensieri cattivi": la scuola. Mi sono iscritta tre anni fa a un corso serale per ragionieri. Non era il liceo linguistico che sognavo da ragazza, perché il mio paese non l'offriva, ma andava bene lo stesso. Si è rivelata la migliore scelta che potessi fare. In genere si ha un'idea sbagliata dei corsi serali, si sottovaluta la preparazione e la serietà con cui vengono affrontate le lezioni. Posso dire invece che l'esame affrontato per la maturità è identico a quello degli studenti "abituali" del mattino, tant'è che lo abbiamo dato insieme e che il programma e le verifiche svolte sono pressoché uguali. E' diverso il clima che vi regna: adulti o ragazzi che lavorano, scelgono di migliorare la propria posizione, sacrificandosi forse di più, per conseguire l'agognato diploma. Per tre anni, tutte le sere dalle 17:30 alle 22:30 il pensiero principale è stata la scuola. Cenavo alle undici, mi dedicavo ai compiti fino a notte inoltrata. Ho avuto la fortuna di avere per compagna di banco una signora, quasi coetanea, con la quale ho vinto paure e ansie da interrogazioni, condiviso risate fragorose e creato un'amicizia ormai indissolubile. Ci hanno seguito professori, ognuno speciale a proprio modo, nel  proporsi e appassionarci alle varie materie.
 Insomma un'esperienza positiva che mi ha ridato carica e fiducia in un "futuro" possibile. Speriamo...incrocio le dita e mi preparo speranzosa alla prossima salita...
 
LP

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